La storia di Brenda Lodigiani è tutta da raccontare.
L'infanzia nel campo rom
Brenda è cresciuta nelle case popolari di Lodi, quartiere Torretta. Da piccola si sentiva una sfigatella ha raccontato tempo fa. Oggi non cambia idea. «Non mi è mai mancato niente, ma ero quella che non aveva la roba firmata, non andava in vacanza in posti fighi. Con gli altri bambini del cortile ci passavamo baci, malattie e vestiti usati».
Le sue estati le passava al campo nomadi in un bilico racconta ancora al settimanale diretto da Carlo Verdelli: «Il bilico è un grosso camion che i Sinti trasformano in casa mobile. C’è tutto: la cucina, le stanze, i bagni. Nel nostro, anche la moquette». Della sua infanzia ricorda soprattutto «la libertà, lo stare a zonzo tutto il giorno. Accanto alle mie cugine mi sentivo più grande. Tornavo a Lodi dalle mie amiche e pensavo: “Ma che ne sai tu della vita?”».
I pregiudizi
Ma dietro si è trascinata anche tanti pregiudizi. E quelli pesano. «A mia figlia spiego che nulla è in bianco e nero. Sì, ci sono dei Sinti che rubano, perché, tra i Gaggi no? Ma ce ne sono altri integrati. Come me». E lei ci è riuscita. Eccome se ci è riuscita. «Siccome a Torretta non c’era niente da fare, guardavo una tonnellata di tv - Striscia, Stranamore - e pensavo: “Ecco, io voglio fare quella cosa lì”. Sono nata con uno spirito cazzaro».