Elezioni/ Gli scenari: larghe intese
incarico a tempo o ritorno alle urne

Mercoledì 27 Febbraio 2013 di Carlo Fusi
Elezioni/ Gli scenari: larghe intese incarico a tempo o ritorno alle urne
ROMA - Voto shock; Senato (ma forse l’intero Parlamento) ingovernabile; nuove elezioni a breve: che altro? Oltre ad allarmare le cancellerie europee e non solo , ed a mettere in fibrillazione i mercati, il responso delle urne di domenica e lunedì scatena la fantasia - e le paure - di politici, analisti commentatori. La realtà è che il presidente della Repubblica tra poche settimane si ritroverà alle prese con un rebus complicatissimo: quello della possibile governabilità all’indomani di un responso delle urne che vede tanti sconfitti e nessun chiaro vincitore: Grillo compreso, che è sì di fatto il primo partito italiano e tuttavia non ha numeri per l’autosufficienza.



Dunque è il momento degli scenari. Tanti, più o meno articolati (e arzigogolati) per una matassa che è davvero difficile dipanare. Ma prima di valutare nel dettaglio quello che dovrebbe/potrebbe succedere, va sottolineato che comunque ci sono passi istituzionalmente obbligati da compiere. Primo fra tutti l’elezione dei nuovi presidenti di Camera e Senato e per quest’ultimo caso, visti i numeri, sarà un’operazione tutt’altro che in discesa.



IL NUOVO PARLAMENTO

E’ presumibile che il Pd avanzi delle proposte, ma gli equilibri che si sono prodotti a palazzo Madama fanno sì che il Pdl vorrà dire la sua, e con forza. Esaurito questo capitolo, Giorgio Napolitano, che è alla vigilia della scadenza del suo mandato, dovrà individuare la personalità cui affidare l’incarico di formare il nuovo governo. Infine il nuovo Parlamento, in seduta comune assieme ai rappresentanti delle Regioni, dovrà eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Per prassi, il premier si presenta dimissionario al capo dello Stato eletto. Il quale normalmente lo conferma nell’incarico. Insomma si tratta di viaggiare nel nuovo panorama politico dopo lo tsunami elettorale con una bussola che non può essere quella del passato.



Le nuove camere si riuniranno il 15 marzo, e saranno assenti protagonisti decennali (Fini, Di Pietro, eccetera) mentre figureranno personaggi con scarsa o nulla esperienza politica. La partita dell’elezione del successore di Napolitano rappresenta il vero banco di prova della tenuta della legislatura.



TENSIONI DENTRO AI PARTITI

Naturalmente ogni passaggio nelle prossime settimane vivrà sulla compattezza o meno dentro ai partiti. Non che le sensazioni da questo punto di vista siano troppo rassicuranti. Nel Pd le tensioni affiorano a vista, tra chi pensa ad intese con Grillo e chi è più scettico e continua a guardare a Monti nonostante le percentuali non esaltanti del Professore. Senza dimenticare il rapporto non sempre idilliaco con Vendola. Grillo viaggia con il vento in poppa eppure anche tra le sue fila non c’è tranquillità assoluta. Al punto che o stesso comico genovese ipotizza fenomeni di ”scilipotizzazione”: in sostanza possibili cambi di casacca tra i neo deputati grillini. Poi c’è il capitolo centrodestra. Se i berluscones sono euforici lo stesso non si può dire dei leghisti. La vittoria di Roberto Maroni in Lombardia non è sufficiente ad annullare le difficoltà registrate in Veneto e Piemonte, dove in alcuni casi il Carroccio ha dimezzato i consensi. Tutte fibrillazioni che possono diventare decisive nel momento in cui si procederà ai voti.



1- Ripetere le elezioni sempre con il Porcellum

Si tratterebbe dello sbocco più traumatico, il più temuto, e per questo anche quello con più forza respinto dai partiti: tutti, 5Stelle compreso. Un vero incubo, insomma. Anche perché si tornerebbe a votare con il famigerato Porcellum. Al di là delle conseguenze negative facilmente intuibili la situazione è resa ancora più complicata dal fatto che non può essere Napolitano a sciogliere il Parlamento appena insediato. La partita del Quirinale rappresenta il vero banco di prova della tenuta della legislatura. Anche perché alle metodologie, diciamo così, classiche, quelle per intenderci che prevedono il contatti tra i leader e i partiti, si sommeranno grazie alla presenza dei grillini, nuovi meccanismi di scelta. Grillo ha fatto sapere che le consultazioni nel Movimento per individuare i candidati le farà via web, ribadendo tuttavia una preferenza personale per Dario Fo. Non risulta ancora chiaro, però, cosa succederà con i candidati in questo modo selezionati. Se cioè verranno sottoposti all’attenzione delle altre forze politiche oppure no. Nel primo caso, si innescherebbe una trattativa, nel secondo caso rimarrebbero figure, diciamo così, di bandiera.



2- Un governissimo per superare l’emergenza

In sostanza si tratta della possibilità che i maggiori partiti superino le rispettive rigidità ed avversioni al fine di formare un esecutivo in grado di fronteggiare le emergenze sul tappeto, a partire ovviamente da quella economica, varando anche un pacchetto più meno nutrito di riforme costituzionali. In quest’ultimo caso la durata del governo si allungherebbe. Ci sono più varianti possibili. La prima prevede un accordo Pd-Pdl: ipotesi caldeggiata da Berlusconi (che non vuole Monti alleato) e che però Bersani sostanzialmente respinge. La seconda variante propugna un’intesa a tre Pd-Pdl-Grillo o addirittura a quattro con l’apporto anche dei centristi dell’attuale presidente del Consiglio: una maggioranza numericamente vastissima ma di fatto respinta da tutti. Possibile, ma allo stato precluso dai massicci niet reciproci, un eventuale accordo tra il Cavaliere ed il comico genovese. In ogni combinazione possibile, comunque, resta da decidere un elemento fondamentale e in realtà primario: chi sarebbe il pilota dell’esperimento, chi cioè diventerebbe l’inquilino di palazzo Chigi.



3- Pd a palazzo Chigi con l’appoggio dei grillini

Si tratta della soluzione che piace di più ai Democratici e che Pierluigi Bersani ha sostanzialmente annunciato nelle valutazioni post voto. Il Pd intenderebbe sottoporla al Colle e poi verificarla con i possibili compagni di viaggio in Parlamento. Se dovesse, ed è al momento l’ipotesi più accreditata, essere il segretario democrat a ricevere l’incarico di formare il governo, interlocutore privilegiato diventerebbe l’area di centro guidata da Mario Monti. Ma l’obiettivo vero - e neanche tanto nascosto, sul quale preme ad esempio Vendola - è tentare di agganciare in qualche modo i 5Stelle e il loro leader, anche solo con una intesa su singoli provvedimenti (riduzione del numero dei parlamentari, conflitto di interesse, norme contro la corruzione, riforma elettorale) e non politicamente complessiva e strutturata: insomma senza una maggioranza precostituita. Ovviamente un governo siffatto esclude la presenza di ministri grillini. Il nodo vero sta nel fatto che Grillo non intende impegnarsi più di tanto («A Napolitano dirò che non ci alleiamo con nessuno» ha confermato) e rigetta nettamente eventuali accorpamenti con Monti.



4- La svolta: il Presidenteassegna l’incarico a Grillo

Si tratta di una eventualità per sua stessa natura di grande impatto politico e mediatico: praticamente dirompente e al momento da nessuno - a partire dal diretto interessato - presa in considerazione.

Tuttavia - ed è un ragionamento che nelle ultime ore trova sponde non trascurabili nel Pd - è difficile per chiunque contestare che il comico genovese è il vincitore vero delle elezioni di domenica e lunedì, mentre no ci sono discussioni sul fatto che il suo è il primo partito alla Camera: è significativo che Bersani vi abbia fatto riferimento per gli abboccamenti riguardo la nuova presidenza di Montecitorio. Del resto è già accaduto che sia andato a palazzo Chigi non il leader che in assoluto ha preso più voti bensì quello in grado di assemblare una maggioranza. E’ bene ripeterlo: Grillo, allo stat, ad incamminarsi su quel sentiero non ci pensa proprio né qualcuno si azzarda a proporlo. Ciò nonostante l’urto del voto è stato così dirompente rispetto ai vecchi equilibri politici che non è possibile escludere alcunché, neanche un incarico del genere, magari dato come extrema ratio prima della verifica ultima dell’impossibilità di individuare una purchessia maggioranza e dunque avviarsi allo scioglimento delle Camere.



5- Governo di scopo o di profilo istituzionale

E’ una sorta di variante dell’esecutivo di larghe intese ma diversamente di quello si caratterizzerebbe per un carattere e una portata - temporale e programmatica - più ristretta. Si tratta di una strada che qualche ambiente più o meno vicino al Quirinale lascia filtrare, anche se ufficialmente nessuno ne parla né semplicemente vi accenna. In sostanza funzionerebbe così. Il capo dello Stato affida ad una personalità sulla quale converge l’adesione dei principali partiti (non necessariamente di tutti) e che avrebbe il compito di svolgere una funzione per così dire di servizio, ricevendo appunto l’incarico di formare un governo politico-tecnico o solo politico per la messa a punto di alcune riforme ritenute indispensabili. Con l’impegno che una volta che il Parlamento le avesse approvate, si ritornerebbe alle urne. Ovviamente se questa eventualità prendesse corpo, la priorità andrebbe alla modifica dell’attuale meccanismo elettorale, e non è escluso che toccherebbe proprio al governo presentare una proposta in Parlamento sulla quale verificare la possibilità di intese o anche di semplici voti a maggioranza.





6- Esecutivo di minoranza e coalizione da imbastire

Anche in questo caso si tratta di una varante del governo di scopo, istituzionale o di larghe intese. E anche in questo caso si tratterebbe di una strada molto stretta che verrebbe imboccata per esorcizzare un inevitabile ritorno alle urne. In pratica il capo dello Stato affiderebbe l’incarico al leader del partito di maggioranza (ma non è obbligatorio) e dunque a Bersani di formare un governo che già in partenza non può contare su una maggioranza politica né numerica e che tuttavia va in Parlamento a cercare i voti per l’insediamento, cioè la fiducia, e per l’approvazione dei provvedimenti successivamente varati. In realtà un esecutivo del genere si consegnerebbe ad una navigazione parlamentare assai agitata: di fatto reggerebbe sulla benevolenza, che si concretizzerebbe in una astensione o, per il Senato, in una uscita dall’aula al momento del voto visto che a palazzo Madama l’astensione vale voto contrario, in modo da evitare possibili bocciature. Proprio per il profilo così precario, in questo scenario la presidenza el Consiglio verosimilmente verrebbe affidata non ad un leader di partito bensì ad un personaggio meno politicamente caratterizzato.
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