L'splorazione della cometa
nasce dal "genio" polesano

Sabato 9 Agosto 2014 di Elisabetta Zanchetta
L'astronomo Roberto Ragazzoni
Rosetta è una delle pietre miliari del programma dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), che ha preso il via da oltre vent'anni. Dopo dieci anni e un viaggio difficile e tre anni di inattività, la sonda spaziale è entrata in orbita intorno alla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Ha con sè due telecamere: una francese che fornisce le immagini da teleobiettivo (ci permette di vedere la cometa come un enorme sasso), l'altra tutta italiana, disegnata dal rodigino Roberto Ragazzoni, che è astronomo ordinario all'Osservatorio di Padova e in passato ha lavorato al telescopio italiano Galileo basato alle Canarie, quindi all'università dell'Arizona. A Padova ha lavorato anche alle ottiche per le missioni Plato e Cheops dell'Esa.



Agli inizi degli anni Novanta, una gara internazionale in ambito europeo chiedeva a esperti nel settore di produrre i migliori disegni di due telecamere da montare a bordo della sonda, una specie di teleobiettivo per riprendere i dettagli della cometa, e una camera a grande campo il cui compito principale fosse di sorvegliare la cometa ed essere in grado di rilevare i più flebili "sbuffi" a mano a mano che la cometa si avvicinava al Sole e la sua attività crescesse.



«Insieme a Enrico Marchetti, di Udine, che ora lavora da molti anni all'Osservatorio europeo a Monaco di Baviera, ho concepito varie soluzioni ottiche, sempre sotto la guida del nostro comune professore Cesare Barbieri», racconta Ragazzoni. Il problema nel progettare la telecamera era il «riuscire a vedere un getto di polveri o di particelle dal nucleo della cometa illuminato dal Sole: è come percepire un moschino che svolazza intorno ad un lampione acceso. Questo ci impediva di potere usare delle lenti e richiedeva anche un disegno senza nulla di meccanico interposto lungo il cammino della luce. I migliori gruppi europei erano al lavoro e la soluzione doveva anche essere abbastanza piccola da non risultare in una telecamera troppo pesante o costosa, perché non sarebbe mai stata realizzata o non sarebbe mai stata trasportata dalla sonda. Per quasi due anni ci siamo confrontati mensilmente con i gruppi francesi, tedeschi ed inglesi, per citare quelli più attivi, sfornando o rifinendo nuove soluzioni a ogni riunione. Alla fine la nostra è risultata largamente la migliore, molto più piccola e compatta di quella inglese, e priva di alcuna lente, a differenza di quella proposta dai tedeschi».



«La realizzazione della meccanica e la costruzione vera e propria della camera - chiude Ragazzoni - è stata demandata ai gruppi di Ingegneria meccanica ed elettronica dell'università di Padova, il primo seguito da Stefano De Bei, di Este, il secondo da Giampiero Naletto, che, assieme ai loro gruppi, e sotto la guida dei loro direttori, Franco Angrilli e Giuseppe Tondello, hanno il merito di avere poi costruito materialmente tutta la telecamera e le varie parti connesse. Come spesso succede il successo di una missione si deve ad un numero grandissimo di persone ed è quasi impossibile ricordarle tutte».
Ultimo aggiornamento: 13:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA