Pd, rush finale al congresso: ultime scintille tra candidati

Domenica 23 Aprile 2017
Pd, rush finale al congresso: ultime scintille tra candidati
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Un punto di riavvicinamento tra i tre candidati alla segreteria del Pd arriva a una manciata di giorni dalle primarie di domenica prossima. Il terreno è quello della legge elettorale. Via i capilista bloccati, sì ai collegi uninominali. È uno dei punti della proposta di legge elettorale avanzata dal Pd in commissione Affari costituzionali. Una proposta che arriva dal Pd renziano e che va incontro alle richieste di Andrea Orlando e Michele Emiliano che dell'eliminazione dei capilista bloccati hanno fatto una delle bandiere della campagna congressuale. Certo, restano le distanze sul resto della legge elettorale a partire dal premio alla lista avanzato dei renziani. Gli altri vedrebbero meglio il premio alla coalizione visto l'esplicito richiamo alla ricostruzione di un centrosinistra largo, in particolare da parte del Guardasigilli. Così come restano le diversità su ruolo, collocazione, organizzazione del Pd. E su come esercitare la leadership, soprattutto. La diversità più macroscopica nella sfida per la segreteria dem tra Matteo Renzi, Michele Emiliano e Andrea Orlando sta proprio nella concezione del leader.

Va separato il ruolo di segretario e candidato premier per il governatore pugliese e il ministro della Giustizia. Il principio del leader forte non si tocca per l'ex-premier. Tutto messo nero su bianco nelle mozioni congressuali. Due mondi diversi e due modi antitetici di intendere la leadership. Ma anche un'arma polemica nei confronti di Renzi: Orlando in questa campagna congressuale ha rivendicato più volte la necessità di un «segretario a tempo pieno» perchè «un partito assorbito dal governo» è stata una della cause della sconfitta del 4 dicembre. Emiliano, poi, lo ha scritto anche nella sua mozione attaccando la «visione ipertrofica dell'io solo al comando, l'io ipertrofico». Per Renzi al contrario, con sfumature magari meno nette del passato, la concezione del leader forte resta «un principio essenziale». Sì, c'è Maurizio Martina in ticket, c'è la volontà di dare più spazio i 40enni, esplicitata al Lingotto e concretizzata nella scelta di Matteo Richetti a portavoce della mozione, ma lo schema non si cambia.

Le primarie di domenica prossima arriveranno a una settimana esatta dal primo turno delle elezioni, oggi, in Francia. Una tornata elettorale quella francese cruciale per il futuro della Ue che sarebbe seriamente minacciato dalla vittoria di Marine Le Pen. L'europeismo è uno dei tratti che accumunano di più i tre candidati alla segreteria Pd. Renzi, Orlando e Emiliano hanno messo il rilancio dell'Ue al centro delle loro mozioni congressuali. L'ex-premier chiuderà addirittura a Bruxelles, venerdì prossimo, la campagna delle primarie «Secondo i populisti, l'Europa va distrutta. Secondo conservatori e i burocrati va tutto bene come è adesso. Noi diciamo 'Europa sì, ma non così'. Io voglio guidare il Pd - che con noi è diventata la più grande forza politica europea - a cambiare l'Europa. E dunque l'Italia», dice Renzi. I tre candidati dem concordano sull'esigenza di un'elezione diretta del presidente della Commissione. Un modo per avvicinare i cittadini alle istituzioni visto che molti dei partiti che si presentano alle elezioni europee non dichiarano in quale gruppo del Parlamento europeo confluiranno e di conseguenza quale candidato alla presidenza della Commissione sosterranno.

Orlando si spinge anche oltre. Il Pd, ha detto più volte durante la campagna congressuale, deve farsi carico del rilancio del Pse. Secondo il Guardasigilli non basta invocare le primarie per il presidente Ue ma occorre occuparsi del Pse e per questo propone un congresso dove vengano dibattute tesi, proposte e si decida quale futuro per il socialismo europeo. Orlando ha anche accusato Renzi di sfiorare l'euroscetticismo con i suoi ripetuti richiami all'Ue dei 'tecnocratì: c'è «un'ambiguità pericolosa. Se tu dici che l'Europa così com'è non va, dici una cosa vera ma se non accompagni immediatamente con una proposta su come deve andare, verrai immediatamente confuso con gli euroscettici».

​Se Renzi riparte dalla sconfitta del 4 dicembre rivendicando quanto di buono fatto nei 3 anni a palazzo Chigi, severo è al contrario il giudizio degli sfidanti al congresso. Per Orlando invece la valanga di No al referendum sono stati anche No a certe politiche renziane in particolare sui temi del lavoro. «Le periferie, sia territoriali che 'socialì, hanno supportato il No. E ha detto No in massa alla riforma la generazione degli under 35 che forse più di ogni altra si è sentita 'perdutà in questi lunghi anni della crisi. I giovani hanno respinto la riforma costituzionale del governo più giovane della storia», si legge nella mozione del Guardasigilli. E la svolta mancata dopo il referendum, secondo Orlando potrebbe causare una nuova sconfitta alle prossime elezioni politiche con un Pd a trazione renziana. Il cambio di passo per gi sfidanti di Renzi dovrebbe partire innanzitutto dalle politiche sul lavoro rivendendo le norme sui licenziamenti.

Mentre Renzi ribadisce che il Jobs Act «si è fatto fare un grande passo avanti al Paese», per Emiliamo «il pacchetto di interventi sul mercato del lavoro enfaticamente denominato Jobs Act, ha avuto come unico esito concreto quello di incrementare sperequazioni e disuguaglianze sociali a danno di chi lavora, di ridurre le tutele per i lavoratori, senza determinare un reale aumento dell'occupazione».
Per Orlando «stiamo rischiando di smarrire l'eredità migliore delle grandi ispirazioni ideali del cattolicesimo democratico e del socialismo italiano: la capacità di unirsi nei momenti difficili della vita della Repubblica». Per questo serve ricostruire il centrosinistra. «È un lavoro complicato, a cui bisogna dedicarsi a tempo pieno. Non può essere vissuto come una corvée in vista di un altro incarico. Dirigere il Pd, a ogni livello, deve tornare ad appassionare e, perché no, a divertire».
Ultimo aggiornamento: 24 Aprile, 17:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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