La guerra comunicativa è parte cruciale della guerra militare in corso. Nella seconda, la Russia per ora è in vantaggio. Nella prima, Zelensky sta vincendo.
«Deve smettere di parlare e va preso subito», dicono i generali russi. Loro e Putin devono combattere nella guerra comunicativa sia Zelensky, sul fronte esterno, sia nel fronte interno le giovani generazioni che non vogliono la censura, gli oppositori che sono ancora deboli e impauriti ma riescono ad aggirare tramite i social la propaganda governativa e insomma: la Russia annaspa nella guerra delle verità e delle contro-verità, delle informazioni e delle fake news, mentre gli avversari si trovano più a proprio agio con le armi delle parole. Zelensky che domani alle manifestazioni in centinaia di città europee a favore dell’Ucraina comparirà in video - a Firenze dove ci sarà tutta la sinistra italiana da Letta a Calenda, dai sindacati alle associazioni, da Renzi ai movimenti arcobaleno e sarà tutta una piazza anti-russa - sta preoccupando il Cremlino.
Dall’inizio Zelensky ha fatto capire che con i media ci sa fare, e da ex attore c’era da aspettarselo. Dismesse giacca e cravatta e indossata una maglietta mimetica, i suoi due primi brevi video hanno emozionato chiunque li abbia visti e così quelli successivi. «Siamo tutti qui. I nostri militari sono qui. I nostri cittadini sono qui. Stiamo tutti difendendo la nostra indipendenza», afferma nelle clip pubblicate su Telegram e su altri social, mentre è in compagnia dei suoi principali consiglieri. Oppure, come su Twitter il 26 febbraio, egli appare da solo con alle spalle il palazzo presidenziale di Kiev: «Girano un sacco di informazioni false online: che ho chiesto all’esercito di arrendersi, che è in corso un’evacuazione. Vi dico una cosa: io sono qui. Non abbasseremo le armi, proteggeremo il nostro paese».
I suo video vengono visti da 4 milioni di persone su Telegram e da altrettante o di più su Twitter e su Facebook. L’intero pianeta può vedere quello che lo storico Andrew Roberts, docente al King’s College di Londra, definisce «il suo Churchill interiore», in un parallelo con il primo ministro britannico che, durante la Seconda Guerra Mondiale, ebbe un ruolo cruciale nel tenere alto il morale dei britannici alle prese con i nazisti nell’«Ora più buia» (titolo anche del film dedicato al premier britannico e a quelle vicende belliche). Churchill usava la radio, Zelensky invece Twitter e Telegram (beninteso non stiamo facendo impossibili paragoni tra la statura politica dei due) pubblicando video in cui beve il caffè insieme ai soldati, in cui è in strada assieme ai combattenti, direttamente sul campo di battaglia. Riuscendo anche a ricordarsi di sorridere. La presenza social della moglie completa la strategia di vicinanza patriottica con il popolo che soffre e che muore adottata dal presidente. «Pensavano fosse un peso leggero, è viceversa un combattente pesante» - dicono i suoi - attraverso l’uso di armi pesanti come sono quelle delle media.
In termini percentuali, il rapporto sulla somma dei tweet dell’account di Zelensky e di quello di Putin è dell’80 per cento in favore del primo contro il 20 per cento del secondo. Ancora più interessante il dato dei follower e dei retweet: il profilo di Zelensky può contare su 5 milioni di follower e sul 100 per cento di tweet ricondivisi dagli utenti, per un totale di circa 2 milioni di retweet. Impietoso il confronto: la controparte russa può contare su poco più di 1.6 milioni di follower e circa 350.000 retweet. Ma la guerra sul campo, rispetto a quella digitale, presenta bollettini assai diversi da questi.