Annamaria, la «dama in nero»
arrestata per le armi all'Isis

Mercoledì 1 Febbraio 2017 di Gigi Di Fiore
Annamaria, la «dama in nero» arrestata per le armi all'Isis

San Giorgio a Cremano. Fuori al cancello della malandata Villa Ferrara in piazza Tanucci, la folla in attesa è cresciuta con il passare delle ore. Curiosi, ad aspettare l’uscita di lei, la «dama in nero», e del marito. Quando Annamaria Fontana e Mario Di Leva escono di casa, stretti tra gli uomini della Guardia di finanza, partono imprecazioni. La più purgata è «lota», le altre sono irripetibili. Lei, occhiali scuri e come sempre a capo coperto, sorride. Il marito, in camicia e maglione, pare indifferente. La gente di qui non ne parla bene, si capisce subito che nella zona non godono di molte simpatie. «Brutta gente, strana» dice qualcuno.

C’è diffidenza nei loro confronti, circolano molte supposizioni sui loro continui viaggi, sulla loro indifferenza alla vita della cittadina. Indifferenza anche ad occuparsi di piccole cose, come attivarsi per la ristrutturazione del palazzo dove abitano, su cui, nel gennaio di tre anni fa, il Comune notificò un’ordinanza imponendo interventi e lavori urgenti. Poco distante dalla Vila, c’è il portone, con ai lati le foto di due procaci ragazze riprese a danzare, dello Sheik Al Arab, il bar ristorante di proprietà dei coniugi Di Leva, da quattro mesi dato in fitto. Un locale frequentato da gente del posto, dove è possibile assistere a spettacoli di danza del ventre.

«Narghilè bar» dice l’insegna, annunciando anche un «Betty dance show». Nel cortile della Villa, domina un grosso camioncino nero con targa bulgara. Un particolare che accresce il mistero e le fantasie su questa coppia, con la testa e tanti rapporti in Iran e proprietà in Italia. Come la casa a San Giorgio, ma anche una a Posillipo e un appartamento in via Fonte Fracassi a Pescasseroli.
 



Se l’ingegnere Mario Di Leva, 68 anni napoletano di origine, a San Giorgio si è sempre tenuto defilato, la moglie Annamaria Fontana, 62 anni e nata a San Giorgio a Cremano, è abituata a occupare copertine e pagine di giornali. Occhi chiari che fissano sempre l’interlocutore, bionda, ha un passato nella politica locale. All’inizio condiviso anche con il marito: insieme, da giovani, vennero eletti nel 1976 consiglieri comunali a San Giorgio per il Partito comunista. Lei aveva appena 23 anni. Alle successive elezioni, il marito non ce la fece, lei sì passando con i socialdemocratici. Sarebbe rimasta in Consiglio comunale fino al 1993, con una parentesi per sei mesi anche di assessore al Personale «in una giunta tecnica» precisò in un’intervista al Mattino del 5 dicembre 1998. Arrivò in redazione, con una massa di documenti sotto braccio, elegante e in pelliccia. Per lei, erano giorni caldi. Era diventata la grande accusatrice di politici, imprenditori, funzionari di polizia per vicende ingarbugliate di rapporti con il clan camorristico dei Vollaro.

Ad un incontro, dove erano presenti un funzionario di polizia e un faccendiere che contribuì a far arrestare, si presentò con un registratore. Consegnò la cassetta ai magistrati. «Ho preso l’abitudine a registrare le conversazioni pericolose» spiegò. Si fece la fama di fustigatrice della politica e della vita pubblica della sua città e dei paesi vicini. La definirono una don Chisciotte e fu protagonista di una puntata del programma radiofonico «Inviato speciale» a Radiouno, dove veniva presentata come «donna dal coraggio civile». 

Di certo, una donna che sa porsi con garbo, sa intrecciare relazioni e, negli anni, è stata spesso informatrice dei servizi segreti, italiani e stranieri, testimone in processi penali come quello a carico di 19 poliziotti arrestati per presunti rapporti con il clan camorristico Cozzolino di Ercolano, mediatrice di affari.
 
 


C’è un’altra vita di Annamaria, che ha alimentato dicerie e sospetti a San Giorgio. Una vita sempre condivisa con il marito con cui ha tre figli: due maschi e una ragazzina. Uno, Luca, il secondogenito, è titolare di un conto corrente su cui sono transitati 100mila euro per una transazione da chiarire. La seconda vita comincia con una permanenza a fasi alterne a Teheran, durata ben 17 anni. L’ingegnere si converte all’Islam e prende il nome di Jaafar in onore al sesto Imam. In Iran intreccia rapporti con molti professionisti, in gran parte ingegneri iraniani che hanno studiato al Politecnico di Napoli. Parlano in italiano e sono determinanti per intraprendere molte conoscenze importanti. 

Annamaria ama il protagonismo, ama restare al centro della scena e, nel 2006, fu coinvolta in una vicenda raccontata da Sergio De Gregorio in un suo libro. Venne contattata, per i suoi rapporti con i servizi segreti iraniani, dalla Fondazione Italiani nel mondo di De Gregorio. Volevano tentare la liberazione dei due soldati israeliani presi dagli hezbollah e tenuti in ostaggio in Libano. Una missione, su richiesta del Mossad, i servizi segreti israeliani, affidata al generale Nicolò Pollari, ex capo del Sismi che utilizzò l’associazione di De Gregorio. Contattarono Annamaria Fontana, ma la trattativa andò male. Lei raccontò al giornalista Renato Corsini: «Informai personalmente il Mossad che ero però riuscita ad ottenere la restituzione delle due salme. Me ne furono grati». 

«Dama in nero» per il suo look, in cui non dimentica mai di coprire il capo, come da abitudine orientale. In Iran i suoi contatti in alto, come dimostrano le foto del 2008 con l’ayatollah Khazal e il presidente Mahmoud Ahmadinejad, in compagnia del marito. Ma buone amicizie marito e moglie hanno acquisito anche in Egitto. Chi li conosce, spiega che i loro contatti, anche per l’impegno religioso del marito, sono con le componenti sciite che prevalgono in Iran. E sono questi contatti ad essere poi diventati la fonte principale del loro lavoro: mediatori per le grosse aziende italiane, interessate a investire in Iran. Un mercato da otto miliardi di dollari all’anno.

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Ultimo aggiornamento: 22:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA