SANTO STEFANO (BELLUNO) - Doppio viaggio per un intervento al piede. Il primo è stato, infatti, letteralmente a vuoto per Erna De Candido di Santo Stefano. Con il reparto di ortopedia dell'ospedale San Martino preso tra il doppio imprevisto del Covid 19, da una parte, e di un numero di interventi, in particolare al femore, maggiore del previsto, dall'altra. In ogni caso, una mancata preventiva comunicazione con la paziente è costata a quest'ultima un viaggio in più, per 120 chilometri complessivi, con tutto quel che ne consegue a livello di preoccupazione, organizzazione, astensione dal lavoro, spese dalla benzina a tutto il resto necessario per viaggiare.
Il rito del tampone pre operatorio
La disavventura, poi risoltasi alla fine positivamente, tra una sorpresa e l'altra, comincia alla fine gennaio. Il 28 viene infatti fissato l'appuntamento nel reparto di ortopedia di Belluno. Il giorno prima, la donna si reca al nosocomio di Pieve di Cadore per il tampone di rito preoperatorio. «Sono arrivata in anticipo di una buona mezzora - racconta Erna De Candido - e pensavo che potessero farlo subito, invece mi hanno fatto accomodare e, alla mia richiesta di anticiparlo, mi hanno risposto di attendere l'orario prefissato, in modo tale da procedere, contemporaneamente, con i tamponi di tutti i pazienti. Con estrema sorpresa, però, ho constatato che, alla fine, ero la sola in attesa». Evidente il dispiacere per non aver potuto approfittare dell'anticipo. Eseguito il controllo anticovid, è cominciata l'attesa per il giorno successivo, quando di buon'ora Erna De Candido è scesa a Belluno, lungo i 60 chilometri che separano il paese comeliano dal capoluogo. Anche in questo caso, la cittadina si è presentata con congruo anticipo al reparto d'ortopedia, dove si è messa in attesa assieme ad altre tre persone, in procinto di essere ricoverate per interventi programmati. «Arrivata da circa quindici minuti continua si è presentato il primario che, gentilmente, ci ha informato che dovevamo ritornare a casa, perché il giorno prima avevano ricoverato sette persone con altrettante rotture di femori e ci ha comunicato che ci avrebbero contatto ma non prima di due settimane». A quel punto i pazienti non hanno potuto che prendere ed andarsene. «È stato in quel momento che ho letto sulla porta principale che il reparto era chiuso per positività covid - spiega Erna De Candido, amareggiata per non aver fotografato il cartello informativo -. Ci può stare un'emergenza, ci può stare anche la positività, ma non costava nulla chiamare il giorno prima ed avvisare che non sarebbe stato possibile il ricovero. Non si è pensato ai disagi di chi arriva da lontano, dell'andare avanti e indietro, di chi deve predisporre il viaggio, chiedendo aiuto a parenti o amici per essere accompagnati.