TREVISO - Forse è stato il primo a essere chiamato "meccatronico" che era una nuova figura di lavoratore, a metà tra un meccanico e un elettronico. Era il momento in cui le auto non erano più solo un motore con le ruote, ma una centralina elettronica con le ruote. Quel meccatronico, poi, non era altro che l'evoluzione del "metalmezzadro" inventato da Ulderico Bernardi per definire il nuovo lavoratore del Veneto del miracolo economico: il contadino che lasciava la terra, ma non del tutto, per trasformarsi in operaio. Lui, Manuel Cavalli, 62 anni, biellese arrivato bambino a Treviso, si è trasformato in meccatronico per sfuggire alla carriera nella Guardia di Finanza che era tradizione della famiglia.
Quando è arrivato nel Veneto?
«Sono figlio di un militare della Guardia di Finanza, era la tradizione di famiglia, non potevano fermarsi troppo in un posto, così noi cinque figli siamo cresciuti tra Biella, Verbania, Trento, Treviso. Quando ho incominciato le elementari ero a Borgo Valsugana, le ho finite in una scuola di Treviso. Sono perito elettronico, ma dovevo proseguire in Accademia e sono stato a Pozzuoli, ma non sono riuscito a resistere in quella situazione: nella sala del circolo ufficiali c'era un quadro che riproduceva il gabbiano Jonathan Livingston e la sua frase famosa "Ciascuno di noi è un'infinita idea di libertà senza limiti". Di fronte a quel quadro ho capito che la carriera militare non faceva per me. Ho lasciato perdere e ho fatto il servizio militare in Aeronautica, tra Macerata e Istrana. Però anche sei mesi nella Guardia di Finanza a Predazzo perché mio padre ci provava in tutti i modi: gli sono grato perché ho fatto il corso roccia, ho imparato a sciare e a sparare con la carabina e col fucile di precisione. Stavo nell'ambiente che amavo, di notte con la luna piena la roccia dolomitica diventava rossa».
Si è interrotta la tradizione di finanzieri ed è nata quella dei meccatronici?
«Come tecnico elettronico sono entrato a fare riparazioni nelle attrezzature per officine. Sembra tutto casuale, invece c'è sempre un filo conduttore: siamo nella metà anni '80, era il momento di una piccola rivoluzione, si vedevano le prime macchine con componenti elettroniche. Così ho sviluppato una tecnologia ibrida, applicando l'elettronica alla meccanica del motore. Il titolare, Alessandro Faggiani, davanti ai primi test diagnostici che nessuno era in grado di usare, mi ha mandato in una grande concessionaria a insegnare come applicare uno strumento nuovo. Facevo i corsi la sera dopo il lavoro, spiegavo l'elettronica in maniera semplice ed è stata una semina incredibile. Trovavo i problemi e li segnalavo, i meccanici mi chiamavano "Nasa" e mi portavano tutte le auto con problemi particolari. Da lì è partita, sono andato a Padova a vendere sistemi computerizzati per officina che costavano decine di milioni di lire, era come interpretare l'elettrocardiogramma di un uomo, ero diventato uno dei più abili riparatori a livello italiano. Sono nato per la diagnostica perché mi ero scottato le braccia accanto al tubo di scappamento di una macchina. Poi Faggiani in società con Giampaolo Gobbo, l'ex sindaco di Treviso, si è ingrandito producendo attrezzature nuove per officine. Avevo capito che la tecnologia applicata alle auto per essere verificata aveva bisogno di strumenti che non c'erano, avevo inventato un sistema universale per controllare il sistema di accensione elettronica nei vari modelli montati sulle auto».
Un lavoro che le ha permesso di crescere nel nuovo settore.
«Un giorno venne un cliente, Bruno Vianello, aveva i problemi di chi gestiva un'officina. In quel periodo stavo scrivendo un manuale d'uso per lo strumento che avevo messo a punto e vendevo alle officine. Vianello aveva una stampante laser e ho stampato tutte le copie del manuale. Vianello mi offrì di entrare in società, lui aveva un talento vero per il commercio. Così con lui e Faggiani abbiamo costituito la Texa (tecnologie elettroniche per officine): montavamo l'attrezzatura e poi andavamo a venderla. La Texa è nata in un classico garage, nel più classico stile americano. A chi mi chiedeva cosa ci facessi sotto il cofano di una macchina, rispondevo che mi piaceva moltissimo, mi sembrava di essere un medico di quelli bravi: dall'analisi dello scarico ero in grado di dire al meccanico cosa fare per risolvere i problemi di quell'auto. Il robot enorme che c'è all'ingresso della Texa nasce da un piccolo robot portato da mia moglie da un viaggio a Tenerife. L'ingresso dell'azienda era imponente, ho pensato perché non metterci un robot fatto di mille pezzi e ho trovato un artista thainlandese che in sei mesi l'ha fatto e montato. L'ha costruito in mezzo alla foresta su un'impalcatura di bambù e spedito in nave in mille pezzi da rimontare. Alla Texa ci sono rimasto 25 anni tondi tondi, volevo sperimentare nuovi brevetti e avevamo visioni diverse».
A quel punto Cavalli si è messo in proprio e ha ricominciato?
«Nel 2019 ho acquistato Astrel che era nata nel 1987 e aveva qualche difficoltà un po' per l'età, un po' per la situazione del mercato. Ma io avevo visto nell'azienda un potenziale, c'era il primo abbozzo di domotica evoluta. È stata una sfida vinta nonostante situazioni impreviste, dal Covid alla guerra, alla crisi delle materie prime, ai costi energetici. Con tutte le medie imprese che si appoggiano sui nostri prodotti, voglio fare corsi di preparazione per tecnici».
E questa casa del futuro?
«Questo è davvero il futuro, il legame molto stretto che ci dovrà essere tra la casa e chi la utilizza e chi deve fare assistenza. È la stessa trasformazione che c'è stata nel settore automobilistico: prima era un motore, oggi è un sistema che fa tutto. Non devi cambiare casa, prendi la vecchia e la trasformi in un edificio intelligente che può offrire tutti i servizi. La casa stessa avverte se c'è una difficoltà, avvisa l'elettricista o l'idraulico. Semplicità è utilizzare una tecnologia che neanche appare ma c'è. Anche per le persone anziane è possibile vivere in maniera più semplice tutte le attività domestiche, utilizzate da remoto».