Picchiate dal compagno: quest'anno nella Marca già 200 donne in pronto soccorso

Dall'introduzione del codice rosa, nel 2017, 4.382 casi in 6 anni nel . Il presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio: "Troppo tempo per denunciare"

Lunedì 13 Maggio 2024 di Mauro Favaro
Il convegno organizzato al Ca' Foncello di Treviso

TREVISO - Sono già 194 le donne che dall’inizio dell’anno ad oggi si sono rivolte ai pronto soccorso degli ospedali della Marca a causa di violenze subite in famiglia. Quasi due al giorno. Ogni santo giorno. Tra botte, lividi o addirittura fratture, per non parlare della violenza psicologica, poi, si rischia di vedere solo la punta dell’iceberg. Nei pronto soccorso vengono accolte con il “Codice rosa”, un’indicazione che consente di attivare specifici percorsi protetti, sia a livello di spazi che di disponibilità di professionisti, a partire dagli psicologi.

I numeri

Gli accessi non diminuiscono. Basti pensare che in poco più dei 6 anni, cioè da quando è stato introdotto il “Codice rosa”, sono state 4.382 le donne vittime di violenza arrivate nei pronto soccorso del trevigiano. Vuol dire quasi 700 all’anno. Con un’età media compresa tra i 35 e i 45 anni. E dalla fine degli anni ‘90 ad oggi in Veneto ci sono stati 64 femminicidi. Il quadro è stato fatto nel corso del convegno “Cosa vuoi che sia…” organizzato ieri dalla Fials di Treviso, guidata dal segretario Gianluca Martin, nella sala convegni del Ca’ Foncello. «E' praticamente una guerra – è l’amaro commento di Francesco Benazzi, direttore generale dell’Usl della Marca – è necessario agire con forza sul piano della prevenzione, in collaborazione con le famiglie e le scuole, per insegnare agli uomini del futuro ad avere rispetto delle donne.

E con tolleranza zero anche nel posto di lavoro». L’azienda sanitaria è impegnata su più fronti. Dai corsi di difesa per consentire alle operatrici di gestire al meglio eventuali pazienti aggressivi fino allo psicologo fisso per i casi di violenza all’interno degli ospedali. «I coordinatori sono chiamati a segnalare ogni caso di violenza di genere, compresi stalking e mobbing: negli ultimi due anni abbiamo raccolto 10 segnalazioni – spiega il direttore generale – ma la violenza verbale spesso non viene rilevata. Per questo va creata una cultura del rispetto. Va però sottolineato che si è via via sviluppata una maggiore attenzione. I rapporti tra uomini e donne nei reparti sono migliorati. E per fortuna l’85% della sanità oggi è donna».

I casi in corsia

A questo si aggiungono le violenze da parte di alcuni pazienti. Gli ultimi casi nei pronto soccorso hanno riguardato due infermiere colpite con un calcio e un pugno. «Oltre alla formazione, abbiamo installato un campanello, un Alert, da suonare in caso di pazienti aggressivi – rivela Benazzi – questo consente in primis ai colleghi maschi di uscire per vedere cosa sta succedendo. E di pari passo scatta la segnalazione alle forze dell’ordine». A livello generale, le dimensioni del problema della violenza di genere sono enormi.

Il presidente della commissione d'inchiesta

La prima a sottolinearlo è Martina Semenzato, deputata, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere. «Una donna spesso ci mette dai 2 ai 5 anni prima di denunciare, perché molte volte non sa dove andare, non sa che strumenti ci sono, pensa di essere sola o subentra la vergogna anche in ambito familiare – avverte – veniamo tutti molto colpiti dai femminicidi, anche se nemmeno questi in realtà sono tutti uguali. Ma la violenza di genere è fatta da numeri molto più forti, seppur più silenziosi». Ci sono mille risvolti. Il 62% delle donne vittime di violenza, ad esempio, non sono economicamente indipendenti. Con tutte le relative difficoltà. «Nel 70% dei casi vediamo uomini italiani che maltrattano donne italiane – tira le fila Semenzato – ma va detto che i reati culturalmente o religiosamente orientati sono in aumento. Cioè uomini stranieri che maltrattano le loro mogli. Anche se entrambi cittadini italiani, vengono da contesti socioculturali diversi, dove magari la donna è in una condizione di subordinazione. E l’uomo maltrattante arriva forte del fatto che nella sua cultura la donna è relegata a una condizione di inferiorità».

Ultimo aggiornamento: 14 Maggio, 18:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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