VENEZIA - Luigi Cerutti (1865-1934), monsignore, fondatore della prima cassa rurale cattolica italiana.
Nato a Gambarare di Mira il 14 marzo 1865 dal medico condotto del paese, Giobatta Cerutti, e da Amelia Bontempelli, entrò a undici anni nel seminario patriarcale di Venezia per compiervi gli studi classici e poi decise di rimanervi per diventare sacerdote. Fu prete nella sua Gambarare fino al trasferimento a Murano: si trattava di una zona estremamente povera i cui abitanti perlopiù contadini vivevano tra le febbri palustri privi di qualsiasi istruzione. Uno dei suoi primi interventi, nel febbraio del 1890, fu di fondare assieme al suo parroco don Giuseppe Resch la prima Cassa Rurale cattolica italiana con l'intento di stimolare l'economia ed eliminare lo strozzinaggio imperante. Seguirono altre istituzioni di cooperazione agricola: un caseificio sociale, una società di assistenza contro la mortalità del bestiame e un'altra per gli acquisti collettivi. Una azione così importante nel terreno del credito e dell'economia tale da sfociare nel 1895 con la fondazione del Banco di San Marco. Una attività cooperativistica che per molti anni fu quasi l'unico appoggio di cui poterono godere le plebi contadine negli anni neri dell'economia italiana. Un interventismo sociale non sempre visto di buon occhio: sull'isola Cerutti aveva avviato anche una vetreria cooperativa che arrivò ad avere centocinquanta addetti. Il suo obbiettivo era moltiplicare ovunque questi stabilimenti cattolici, che soli avrebbero potuto salvare gli operai dal socialismo. Ma la sua fabbrica fu boicottata dagli industriali muranesi, che mal gradirono la concorrenza di quel prete impiccione, e dai sindacati socialisti, che vedevano sottrarre al loro influsso gli operai. Questo, unito ad alcune profonde incomprensioni coi clericali dell'isola (che nel 1905 avevano conquistato la maggioranza nell'amministrazione comunale di Murano), lo spinse ad abbandonare la parrocchia per accettare nel 1920 un posto di canonico nella basilica di San Marco. Ma per uno spirito inquieto come lui non poteva bastare: cinque anni più tardi, a sessant'anni, rinunciando agli incarichi onorifici che gli venivano affidati in sede diocesana (presidente della giunta di Azione cattolica e della commissione per il tempio votivo, delegato per le missioni), chiese di ritornare alla guida di una parrocchia. Non fu accontentato, così si trasferì nella diocesi di Concordia e divenne dapprima cappellano a Paludea di Castelnuovo, nelle Prealpi Carniche, e poi parroco a Torre, nel pordenonese. Nel 1932, stanco e malato, si ritirò quale cappellano della casa di cura dei Fatebenefratelli a Venezia, dove morì il 23 ottobre 1934 circa un mese dopo aver assistito alla consegna delle case popolari ai primi inquilini che ne erano ormai divenuti proprietari.