VIGONOVO - Non sarebbero solo quattro, ma almeno una decina le casseforti rubate, sventrate e poi gettate nel corso degli anni in una zona poco accessibile dell'idrovia Padova-Venezia, a Galta di Vigonovo, a ridosso di via Sarmazza sinistra. «Il luogo non era poi così segreto ed erano in molti a sapere dell'esistenza del cimitero delle casseforti - dice il 70enne R.M., che abita poco distante -. Io stesso ho visto giungere sul posto alcune persone con un camioncino munito di una piccola gru.
«La casseforti emerse dal fiume sono almeno dieci»
L'operazione di recupero si è svolta martedì mattina, prima dell'arrivo della brutta stagione che avrebbe reso l'operazione molto più problematica. Sul posto c'erano i mezzi e gli operai comunali che hanno poi depositato le casseforti in un'altra area avvisando le autorità competenti. Che all'interno delle quattro casseforti non vi sia più nulla è assodato, ma le forze dell'ordine hanno comunque richiesto di poterle esaminare per cercare di capire da dove provengano e risalire a quando erano sono state rubate. Dopo essere state asportate dai ladri, aperte con la fiamma ossidrica e ripulite del loro contenuto, sono state gettate nel canale artificiale. Per quanto tempo i forzieri siano rimasti in quel posto, sott'acqua e celati dalla vegetazione, non si sa. Forse 30, forse 40 anni. L'accostamento alla banda della Mala del Brenta, che allora imperversava nella zona, è stato fin troppo facile. Il furto di casseforti da banche, uffici postali, municipi e grosse aziende rientrava infatti tra le attività svolte dal gruppo.
Per tali operazioni c'era una apposita squadra, il cui specialista è deceduto qualche anno fa, povero in canna. «Una volta ripulite, le casseforti potrebbero diventare simbolo della cultura della legalità - ha detto il primo cittadino di Mira Marco Dori, presidente anche della Conferenza dei sindaci della Riviera del Brenta -. L'idea è quella di usarle come box nei parchi del territorio per contenere volumi e pubblicazioni che dimostrino il danno pubblico subìto dalla nostra comunità». Una delle casseforti recuperate è stata chiesta anche dal Centro di documentazione ed inchiesta sulla criminalità organizzata del Veneto di Dolo, diretto dal giornalista Maurizio Dianese.