Carpaccio, il pittore che Cipriani ha trasformato nel piatto famoso nel mondo

Lunedì 30 Dicembre 2019 di Alberto Toso Fei
Vittore Carpaccio visto da Matteo Bergamelli
Chissà se Giuseppe Cipriani poteva immaginare, in quel lontano 1950, che dando al suo piatto di carne cruda tagliata in fette sottili il nome di un pittore veneziano del Cinquecento (e accompagnando la pietanza a una bevanda battezzata col nome di un altro pittore rinascimentale) avrebbe cambiato per sempre la semantica della gastronomia e, in fondo, della pittura. Perché se oggi “Carpaccio” è inteso dalla stragrande maggioranza delle persone come un piatto gustoso, forse non tutti sanno con certezza che il nome è preso direttamente da quello di Vittore Carpaccio, talentuosissimo pittore attivo a Venezia tra la fine del Quattrocento e i primi 25 anni del secolo successivo.

La cosa è doppiamente curiosa perché in realtà, assieme alla provenienza della sua famiglia – tutt'ora nebulosa – Carpaccio non era nemmeno il vero nome dell'artista, che scelse di firmare le sue opere con le forme latine “Carpathius” e “Carpatio” portando invece con tutta probabilità il cognome di Scarpazza o Scarpazo, ovvero quello di una famiglia stanziata a Mazzorbo già nel XIII secolo e trasferitasi successivamente all'Anzolo Raffaele. Di lui non si conosce nemmeno la data esatta della nascita, avvenuta tra il 1455 e il 1465; di sicuro era figlio di un mercante di pelli, Pietro (nome che diede anche a uno dei suoi figli) e altrettanto sicuramente compare nel testamento di un suo zio frate, Zuane Scarpazza, che lo designa erede subentrante in caso di litigio tra i beneficiari. Questo documento fa ritenere agli storici che il futuro pittore fosse almeno quindicenne, alla stesura dell'atto. Anche perché le prime opere, già straordinarie per qualità e maturità del tratto, risalgono a partire dal 1490: sono quelle che compongono l'incredibile ciclo di Sant'Orsola, realizzato per la scuola omonima e oggi conservato alle Gallerie dell'Accademia, ricco di dettagli ma sufficientemente fantastico da poter sembrare irreale.

Da qual momento in poi fu un crescendo di capolavori che ne fecero forse il miglior testimone della vita, dei costumi e dell'aspetto straordinario della Serenissima in quegli anni, malgrado la presenza contestuale di maestri del calibro di Mantegna, Giorgione, Tiziano e Bellini: se tutti ricordano il celebre gondoliere nero davanti a un Ponte di Rialto allora in legno e levatoio (che rubano la scena al vero protagonista del dipinto, il “Miracolo della Croce”), meno conosciuti ma non meno importanti sono i dipinti di Palazzo Ducale (in gran parte peraltro distrutti dal terribile incendio del 1577), per la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista e per quella di Santa Maria degli Albanesi (il cui ciclo è parzialmente conservato a Venezia tra la Ca' d'Oro e il Museo Correr) oltre a una pletora di altre opere – non ultime le “Due dame veneziane” probabilmente dipinte come unico dipinto assieme alla “Caccia in laguna” – che ne aumentarono il prestigio, culminato probabilmente con i cicli per la Scuola di San Giorgio e Trifone (più conosciuta come Scuola “dei Dalmati”, a Castello), universalmente note e celebrate.

Fu dopo la nascita di questi cicli – fortunatamente ammirabili nello stesso luogo per cui furono concepiti – che verso il 1510 Carpaccio ricevette la nomina a pittore ufficiale della Repubblica.
Malgrado ciò, non riuscì a rinnovare il suo stile a fronte dalla rivoluzione innescata da Giorgione e proseguita da Tiziano e negli ultimi anni di attività, condivisi coi figli Benedetto e Pietro, lavorò soprattutto in provincia (a Pirano, Pozzale, Chioggia e Capodistria) dove il suo stile ormai superato aveva ancora moltissimi ammiratori. A quest'ultima parte della sua vita risalgono due bellissime opere: il “Leone di San Marco” (con una bellissima veduta di Venezia dietro a un leone andante con le zampe tra terra e mare) e il “Cristo morto”, ricco di una simbologia di morte legata alla fine della vita terrena di Cristo e alla caducità di quella dell'uomo. Un documento del 28 ottobre 1525 cita Vittore Carpaccio, che è dunque ancora in vita. Il 26 giugno dell'anno successivo però il figlio Pietro lo ricorda già morto, probabilmente proprio a Capodistria.
Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 09:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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