FINE VITA Il dibattito

Lunedì 27 Febbraio 2017
FINE VITA Il dibattito
Una maledetta notte di giugno del 2014 l'incidente. Fabiano Antonioni, dj Fabo, allora 37 anni, stava tornando a casa lungo una via intorno a Milano. Cade il cellulare, si china per prenderlo, sbanda: l'impatto con un'altra macchina. Resta cieco e tetraplegico. Un rosario di terapie che non hanno esito.
A metà gennaio scorso, con il video al presidente Sergio Mattarella, chiede, attraverso la voce della compagna Valeria, di poter morire. Di smettere di lottare e «trovare pace». Le polemiche, la divisione tra chi lo sostiene e chi lo attacca, il terzo rinvio al testo sul Biotestamento alla Camera. Due giorni fa, il viaggio in Svizzera. Per morire.
Con lui è partito Marco Cappato leader dell'Associazione Luca Coscioni («Me l'ha chiesto, gli ho subito detto di sì»). Per Fabo, ora, l'incontro con i medici che spiegano in che cosa consiste il trattamento, le visite previste dal protocollo, i colloqui con gli psicologi. Nel caso in cui non ci fossero le condizioni per la dolce morte i sanitari potrebbero dire no al paziente mentre, fino all'ultimo minuto, Fabo ha il diritto di rinunciare. Circa il 40% delle persone arrivate in Svizzera determinate a chiudere con la vita decidono di tornare a casa dopo aver parlato con i medici. Dovranno trascorrere dei giorni per capire se il dj, secondo le regole svizzere, potrà o no accedere all'eutanasia.
«Certo - spiega l'avvocato Filomena Gallo segretaria dell'Associazione Coscioni - potrebbe anche cambiare idea. Noi stiamo usando l'hashtag fabolibero ma Fabo, per essere libero, è dovuto andare in Svizzera»
Nel video diffuso poco più di un mese fa Fabo racconta le sue due vite, quella prima della tragica notte di giugno 2014 e oggi. Un video che sa di testamento, di appello, di disperazione e di rabbia ingoiata.
«Sono sempre stato un ragazzo molto vivace - ricorda la voce di Valeria - Un po' ribelle, nella vita ho fatto di tutto ma la mia passione più grande è sempre stata la musica, suonare per gli altri mi faceva felice. In questi anni ho provato a curarmi, anche sperimentando nuove terapie. Purtroppo senza risultati. Da allora mi sento in gabbia. Non sono depresso, ho mantenuto la mia ironia ma non vedo più e non mi muovo più. Sono immerso in una notte senza fine».
Tracheotomizzato, riesce a fatica a parlare. A Fabo, l'autonomia è negata, deve dipendere dagli altri per tutto. Negli ultimi tempi ha deciso anche di rinunciare alla sua linfa vitale, la musica. Sente bene e la commozione si sovrappone al piacere. Quindi ha chiesto che, oltre il buio, ci fosse anche il silenzio. Lasciando la parola alle immagini: il Fabiano Antoniani immobile nel letto di casa che cancella l'Antoniani in discoteca, tatuato e carico di energia, o su una moto o sorridente abbracciato alla sua donna. In meno di due ore il mondo dei social si è diviso. Tra chi incita e capisce la sua scelta e chi lo vuole convincere a tornare a casa. C'è Matteo Nassigh, 19 anni, disabile, gravissimo dalla nascita che lo invita «a non chiedere di morire».
Fabiano Antoniani come Lucio Magri, l'intellettuale giornalista fondatore del Manifesto che nel 2011 decise di morire in Svizzera e come altri duecento italiani che, ogni anno, scelgono la cosiddetta morte pulita in una clinica oltre il confine. «Ho deciso, il mio tempo è passato, non ho più niente da rivendicare. Grazie di tutto...» disse Lucio Magri il 23 dicembre del 2011 affacciandosi per l'ultima volta a Montecitorio per salutare i vecchi amici della politica. Suicidio assistito in Svizzera, a una ventina di chilometri da Zurigo, per scappare da una profonda depressione che lo ha sopraffatto dopo la morte della moglie Mara.
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