Piange a diretto Imade Robinson.
Il 14 giugno 2020 nell’hotel adibito a centro migrante scoppia una violenta lite tra connazionali. Imade Robinson e Eugene Moses di 35 anni passano in un attimo dalle parole ai coltelli. Si scontrano in un corridoio del piano camere. Robinson prima para un colpo poi si difende. E Moses cade a terra in un lago di sangue. Morirà pochi istanti dopo.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti i due connazionali da tempo erano ai ferri corti. Quando i carabinieri sono arrivati all’hotel di Orte hanno trovato ad accoglierli il proprietario col giovane omicida, che sarebbe stato subito ammanettato. E poi dentro, il corpo riverso e immerso nel sangue. «Stavo andando a cena quando mi hanno chiamato - ha spiegato il figlio del proprietario della struttura -, ho trovato una scena cruenta. Mi sono avvicinato alla vittima ma non respirava e non c’era battito». Il testimone racconta alla Corte anche di quanto fosse rimasto sorpreso nell’apprendere che a colpire a morte Moses fosse stato proprio Robinson.
«Era da noi da molto tempo - ha spiegato - e non ha mai dato problemi. E’ un ragazzo buono, tranquillo. Moses invece ci aveva dato diversi problemi. Più volte eravamo ricorsi al prefetto per chiedere di allontanarlo dal centro. L’imputato non ha nemmeno tentato di scappare, si è consegnato spontaneamente, ha spiegato cosa era successo e ha portato gli investigatori alle armi. Spiegando con quale arma, un seghetto, Moses lo aveva aggredito».
A raccontare i minuti della tragedia anche il compagno di stanza dell’imputato. «Aveva discusso - ha detto - io sono arrivato e ho cercato di calmarli. Poi sono entrato in stanza per fare una doccia. Ho sentito un gran trambusto e sono uscito di corsa, ma la tragedia era già compiuta».
Si torna in aula l 20 settembre per la discussione.