LONGARONE - «Voi portate a Roma, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, un pesantissimo carico di memoria e di sofferenza»: ha esordito così papa Francesco rivolgendosi ai superstiti e sopravvissuti del Vajont ricevuti ieri in udienza privata.
I SOCCORRITORI
E ancora: «Penso a tutte le gocce silenziose che hanno formato questa grande ondata di bene: ai soccorritori, ai ricostruttori, ai tanti che non si sono lasciati imprigionare dal dolore ma hanno saputo ricominciare. Voi siete artefici e testimoni di questi semi di risurrezione, che forse non fanno molta notizia, ma sono preziosi agli occhi di Dio. Grazie per la vostra testimonianza. Poi un riferimento alla tenacia dei montanari: «E com’è nell’indole della vostra gente avete fatto tanto bene senza molte parole, ma con grande impegno e concretezza, rimboccandovi le maniche: così avete riedificato con cura lì dove l’incuria aveva provocato distruzione». Subito dopo il passaggio a temi cari al Papa: «A causare la tragedia non furono sbagli di progettazione o di realizzazione della diga, ma il fatto stesso di voler costruire un bacino artificiale nel luogo sbagliato. E tutto ciò perché? In ultima analisi per aver anteposto la logica del guadagno alla cura dell’uomo e dell’ambiente in cui vive; quell’ondata che portò disperazione era provocata dall’avidità. Ciò è estremamente attuale: non mi stanco di ripetere che la cura del creato non è un semplice fattore ecologico, ma una questione antropologica: ha a che fare con la vita dell’uomo, così come il Creatore l’ha pensata e disposta, e riguarda il futuro di tutti. E voi, di fronte alla tragedia che può scaturire dallo sfruttamento dell’ambiente, testimoniate la necessità di prendersi cura del creato. Ciò è essenziale oggi, mentre si sta sgretolando la casa comune, e il motivo è ancora una volta l’avidità di profitto, un delirio di guadagno e di possesso che sembra far sentire l’uomo onnipotente. Ma è un grande inganno questo, perché siamo creature e la nostra natura ci chiede di muoverci nel mondo con rispetto e con cura, senza annullare, anzi custodendo il senso del limite, che non rappresenta una diminuzione, ma è possibilità di pienezza. Chi non sa custodire il limite, mai potrà andare avanti».
SAN FRANCESCO
L’ultima riflessione del pontefice è scaturita dalla figura di san Francesco: «Vorrei condividere con voi ancora un pensiero. Quest’anno ricorre l’ottavo centenario della composizione del Cantico delle creature di San Francesco, patrono d’Italia. Il poverello di Assisi chiama il sole, la luna, le stelle, il vento, il fuoco ed altri elementi, fratelli e sorelle, e li chiama così perché le creature sono parte di un’unica “rete viva di bene”, disposta amorevolmente dal Signore per noi» E «loda il Signore per sor’acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Utile e umile, eppure diventata tremenda e distruttiva nel caso del Vajont, oppure inaccessibile per tanti che oggi, nel mondo, soffrono la sete o non hanno acqua potabile. Abbiamo bisogno dello sguardo contemplativo, dello sguardo rispettoso di san Francesco per riconoscere la bellezza del creato e saper dare alle cose il giusto ordine, per smettere di devastare l’ambiente con logiche mortifere di avidità e collaborare fraternamente allo sviluppo della vita. Voi lo fate, custodendo la memoria e testimoniando come la vita possa risorgere proprio là, dove tutto era stato inghiottito dalla morte”. Un discorso che il papa ha chiuso lodando “la consistenza benefica e tenace del vostro tessuto comunitario» e chiedendo di pregare per lui.