Marcato: «Le liti nel centrodestra sono la fine di un ciclo. La Lega non diventi la "discarica" di Fi e Fdi»

Sabato 20 Aprile 2024 di Angela Pederiva
Roberto Marcato

I vertici nazionali tacciono. Dopo aver scatenato lo scontro tra Flavio Tosi e Luca Zaia sull’autonomia, e quindi sui rapporti tra Forza Italia e Lega, il coordinatore Antonio Tajani non è più tornato sull’argomento, così come il segretario Matteo Salvini ha preferito astenersi da ogni commento; c’è chi dice che i vicepremier abbiano urgenze più gravi di cui occuparsi, ma c’è anche chi sostiene che i leader vogliano evitare l’effetto contagio dal Veneto all’Italia.

Non sta invece in silenzio Roberto Marcato, assessore regionale e leghista orgoglioso, già critico nei confronti dell’attuale dirigenza e ora preoccupato per il futuro del suo partito: «Non vorrei che fosse in corso il tentativo di trasformarlo nella “bad company” del centrodestra, perché i campanelli d’allarme ci sono tutti».


Quali?
«Il più eclatante è stato in questi giorni l’attacco frontale azzurro di Tosi a Zaia, con la dura risposta leghista del segretario Alberto Stefani e del capogruppo Alberto Villanova. Ma i segnali di problemi nella coalizione c’erano già da prima sul piano elettorale. Siamo divisi in moltissimi Comuni, fra spaccature vistose e alleanze alterne: in alcuni centri la Lega si allea con Forza Italia contro Fratelli d’Italia, in altri con Fdi contro Fi. Addirittura vediamo leghisti contro leghisti a Bassano del Grappa, Scorzè, Valdobbiadene, Pieve di Soligo, Vittorio Veneto, con i militanti schierati per un candidato e la dirigenza posizionata per un altro. Succede perfino che Nicola Pettenuzzo, segretario provinciale della Lega di Padova e quindi non precisamente l’ultimo degli iscritti, si ricandidi a sindaco di San Giorgio in Bosco con una lista in cui non c’è il simbolo del suo stesso partito. Insomma, cose mai viste, ma che stanno passando come se fossero un’assoluta normalità».


E invece?
«Probabilmente siamo alla fine di un percorso. Questo centrodestra è nato nel 1994 sulla spinta innovativa e liberale di un imprenditore anti-sistema come Silvio Berlusconi, alleato di Umberto Bossi che rompeva tutti gli schemi e di Gianfranco Fini che voleva tagliare con il passato. Dopo trent’anni forse è finito un ciclo: non solo le riforme che attendevamo si sono rivelate delle eterne incompiute, ma non è nemmeno più uno scandalo dire che si può andare da soli, come ho percepito dal silenzio nella Lega quando ho proposto la corsa in solitaria alle Regionali a fronte dello stop al quarto mandato di Zaia. Mi dispiace che tutto questo avvenga a ridosso delle Europee, quando la battaglia dovrebbe essere contro il centrosinistra, non all’interno del centrodestra per parlare male gli uni degli altri».


Pensa che i segretari nazionali dovrebbero intervenire?
«Per come conosco Tosi, trovo impossibile che abbia detto quello che ha detto senza la condivisione assoluta di Tajani. E ho la ferma convinzione che tutto questo non dispiaccia nemmeno a Giorgia Meloni, dato che si sta accreditando nel mondo con uno standing istituzionale e ha bisogno di togliersi le zavorre del passato. Dopodiché mi chiedo: Salvini che posizione ha? Non sono un complottista, però a naso ho l’impressione che se la Lega diventasse la “bad company” del centrodestra, dove sono rappresentati i no vax, i no euro e i Vannacci, libererebbe i Fratelli d’Italia dei pesi che ancorano a terra la loro leader. Questo spiegherebbe l’operazione finalizzata a togliere di mezzo Zaia come simbolo di una Lega contemporanea e innovativa. Forse allora è il caso che la classe dirigente del mio partito faccia una riflessione profondissima su un sistema di leadership che sta mostrando tutta la sua debolezza, anziché limitarsi al racconto gossipparo sulle schermaglie fra Tosi e Zaia». 


Lo chiederà ai vertici?
«Lo chiedo fin d’ora. Spero davvero che venga celebrato quanto prima il congresso federale della Lega. Ma dev’essere un’occasione di confronto vero sui temi, non un triste appuntamento in cui i signori delle tessere schierano le rispettive truppe cammellate per misurarsi sul potere. Oggi avremmo bisogno di politici che, pur sapendo muoversi con la tattica sulle elezioni, fossero in grado di avere una strategia rispetto alle generazioni future. Il modello dei leader tattici sta mostrando la corda, dobbiamo immaginare forme di leadership diverse. Gli slogan servono per vincere una consultazione elettorale, me ne rendo perfettamente conto, ma poi bisogna avere una visione del mondo e una strategia per il domani». 
 

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