Roberta Businaro, in giro per il mondo per aiutare e sostenere chi soffre

La giovane rodigina è operatrice della Croce Rossa in varie zone di conflitto: "Sento la necessità di dedicarmi agli altri"

Domenica 31 Marzo 2024 di Sofia Teresa Bisi
Roberta Businaro, in giro per il mondo per aiutare e sostenere chi soffre

ROVIGO - Conoscere, sostenere, aiutare, tra gli ultimi del mondo. È toccante ed emblematica la storia di Roberta Businaro, rodigina, classe 1988, che ha scelto di vivere il mondo e dedicare il suo impegno per provare a renderlo un posto migliore operando con la Croce Rossa Internazionale.

Giovanissima in viaggio per il mondo

Come è nata questa passione? «A 16 anni ho scelto di frequentare la IV superiore all'estero, negli Stati Uniti. Per la prima volta mi sono trovata catapultata in un mondo diverso e lontano, con scarsi contatti con l'Italia e la mia famiglia, che sentivo al telefono una volta al mese. È stata tuttavia un'esperienza molto stimolante e arricchente, tanto che poi ho voluto proseguire i miei studi alla scuola di interpreti e traduttori a Trieste. Dopo un periodo di Erasmus in Portogallo ho sentito la necessità di dedicarmi agli altri, quindi ho fatto l'esperienza di un anno di volontariato in Kenya, in un orfanotrofio per conto di un'associazione non governativa. Questo periodo mi ha convinta che il mio futuro non avrebbe potuto legarsi alla diplomazia e al Parlamento europeo, perché volevo continuare con la cura degli altri. Sono stata quindi sei mesi nelle zone rurali del Nicaragua, poi 18 mesi a Dublino per un master in Azione Umanitaria. Ho concluso la mia tesi con un tirocinio durante la crisi siriana. Ho poi lavorato 4 anni in Giordania per una Ong, e poi nel Kurdistan iracheno. Nel 2016, in Grecia, con Save the Children, è stato difficile rispondere alla crisi umanitaria dei rifugiati così vicini alle nostre case comode e sicure, proprio in Europa. Ho voluto quindi specializzarmi con Oxfam per la protezione della prima infanzia per dedicarmi ai bambini: sono stata tra i rifugiati rohingya in Birmania e subito dopo, nel 2019, sono riuscita a dare forma al mio sogno: ho iniziato a lavorare per il comitato internazionale della Croce Rossa, con cui collaboro ancora oggi».


L'impegno durante le missioni


Di cosa ti occupi nelle missioni in cui sei inviata? «La Croce Rossa si cura del dialogo bilaterale nei territori di conflitto e di svantaggio; a noi è permesso entrare in zone delicate per ricordare a tutti gli armati l'obbligo di rispettare le regole del diritto internazionale umanitario, come la protezione dei feriti civili e l'attività dei medici.

Sono stata recentemente nelle Filippine, dove sono attivi dei conflitti armati non internazionali, e poi in Colombia, per la gestione di alcune operazioni a Monteria. Anche lì c'erano diversi conflitti armati non internazionali».

La missione più difficile


Qual è stato lo spostamento più difficile? «Di sicuro il periodo trascorso di recente al confine tra Ucraina e Russia, a Donetsk: lì ci sono condizioni di vita estreme e pericoli altissimi. Si vive proprio accanto alle bombe, spesso mancano servizi e anche acqua e si percepisce davvero il disastro che vi sta avvenendo. È terribile vedere le vittime civili o parlare con persone che cercano disperatamente i propri familiari o che sono sottoposte a tortura nelle carceri».

La soddisfazione

Cosa c'è di stimolante o soddisfacente in questo lavoro così ricco di pericoli? «Partire per una missione significa ripartire sempre da zero, ma senza pregiudizi. È importante stabilire un buon dialogo e la collaborazione con le persone locali per poter fare squadra. Se si riesce a uscire dalla propria comfort zone, si arriva a capire che si riceve almeno quanto si dà: il mio lavoro mi permette di creare delle relazioni di fiducia a livello neutrale, visitare le persone private della libertà individuale, o che hanno fame per dare loro un po' di conforto o aiuto. Il momento più emozionante è stato stabilire un buon dialogo con un gruppo armato e pericoloso, qualche anno fa, che poi ci ha affidato un minore rapito e che proprio io ho riconsegnato all'abbraccio della mamma».
Come è il tuo legame con Rovigo? «Qui c'è ancora tutta la mia famiglia: i miei genitori, mia sorella e le mie nipotine. Torno quindi molto volentieri dopo ogni missione, anche se i miei affetti ormai comprendono anche altre persone che ho incontrato in giro per il mondo e che qualche volta ho avuto l'occasione di ospitare proprio qui a Rovigo a casa mia».

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